Storie di Piazza – «La Croce Versa» di Paolo Castronuovo/foto
Per il quarto appuntamento di «Storie di Piazza» il 27 luglio in piazza Rossini è stato ospite il poeta Paolo Castronuovo con la sua ultima silloge «La Croce Versa» (Effigie, 2022), ultimo tassello della trilogia iniziata con «Labiali» (Pietre Vive, 2016) e «L’insonnia dei corpi» (Controluna, 2018) che raccoglie composizioni scritte dal 2013 al 2022. Castronuovo presentò il 24 aprile del 2017 a Palazzo Romano “Labiali”, ospite di Inchiostro di Puglia e “La falla oscura” il 30 novembre del 2018, sempre nella stessa cornice in occasione della rassegna culturale “Domus verba”. Raffaella Rizzi introducendo la serata ha ringraziato i musicisti Vito Laudadio, Leonardo Capurso e Domenico Caricato, le ragazze e i ragazzi della C.T. «Fratello Sole» per le letture dei testi poetici. Un ringraziamento speciale anche a Giuseppe Milano che con la consueta disponibilità e competenza ha curato la parte tecnica. Castronuovo è stato fortemente voluto dall’assessore Lucio Romano, in quella sera assente, che da tempo segue il suo percorso poetico.
È poeta, scrittore e editor. Ha pubblicato finora dodici libri tra prosa e poesia. Ha scritto la poesia più breve mai esistita, poi pubblicata in tiratura limitata come libricino d’artista. È presente in molte antologie e alcuni suoi testi sono stati tradotti in spagnolo, altri pubblicati in Polonia e Irlanda. Il suo prossimo libro, ancora in lavorazione, avrà una copertina realizzata dall’artista gioiese Pierluca Cetera, con cui ha già collaborato in passato. Moderatrice questa sera Marica Laudadio, che con maestria è riuscita a mettere a proprio agio l’autore invitandolo a raccontare i suoi scritti e a raccontarsi. Paolo Castronuovo ha voluto iniziare la serata leggendo la poesia «La croce versa», da cui la raccolta ha preso il nome. Un libro in cui le poesie sono inserite in ordine cronologico inverso, da cui il «versa» del titolo. Un testo in cui ha scavato nel proprio io, cercando di rendere universale il suo dolore. Ha spiegato che l’urgenza di poetare, con versi spesso ermetici, nasce dal suo essere. Il poeta vede le cose in maniera diversa rispetto alle altre persone. Dove tutti vedono una finestra, lui può immaginare il cancello di un carcerato, trasformarlo in un simbolo di libertà. Si scrive immediatamente, la poesia arriva sempre nella testa prima che la penna si posi sul foglio e bisogna fare uno sforzo per metterla su carta, darle una prima impronta. Si scrive per necessità, poi naturalmente spesso occorre limare per rendere la poesia migliore, per darle una struttura armonica.
«LABIALI», «L’INSONNIA DEI CORPI» E «LA CROCE VERSA»
Marica Laudadio ha cercato di indagare sulla presenza costante di un «tu» femminile nella poesia di Castronuovo. Un elemento che ritorna. Si riferisce a una persona esistente? È sempre la stessa o varia nel tempo? Nella trilogia composta da «Labiali», «L’insonnia dei corpi» e «La croce versa», che racchiude componimenti scritti dal 2013 al 2022, l’autore ha ammesso la presenza costante di questo «Tu» che a suo parere si riferisce alla poesia stessa, senza riferimenti a persone reali. Una poesia che lo illumina e da cui a volte vorrebbe liberarsi. In altre raccolte ha scritto anche su donne reali, anche sconosciute, che in qualche modo hanno colpito la sua attenzione e la sua curiosità. L’immaginazione fa partorire i migliori flussi poetici. Dal suo libro emerge una vocazione alla solitudine, una accusa contro il genere umano, analizzato in modo asettico. Paolo Castronuovo cerca invece di essere sempre aperto al dialogo, all’ascolto. Ammette di essere attratto anche dall’eremo, da qualcosa che lo isoli da tutto il resto. Le sue ultime poesie sono state scritte in estrema solitudine. Analizzando il suo percorso poetico ricorda che nelle sue prime poesie emergeva una certa misantropia, un rancore verso il genere umano che con tempo è riuscito a superare, pur mantenendo un certo distacco. Vito Laudadio, questa sera supportato dalle chitarre di Leonardo Capurso e Domenico Caricato, ha voluto cominciare la serata con «Je t’aime… moi non plus», sensuale brano del 1969 interpretato dal musicista francese Serge Gainsbourg e dall’attrice Jane Birkin, che ha ispirato l’omonimo film del 1976. Un omaggio alla Birkin, recentemente scomparsa, dedicato a chi vuol essere alternativo. La prima poesia letta da Andrea è stata «Non avrò il privilegio del saggio». Anche Paolo, come molti poeti dell’ultima generazione, non assegna solitamente un titolo alle proprie composizioni, spesso prive di una punteggiatura che possa guidare la lettura, motivo per cui si è complimentato con le ragazze e i ragazzi chiamati a leggere i suoi componimenti, trascinando il pubblico presente, in un interminabile «flusso di coscienza», un susseguirsi di parole una dietro l’altra apparentemente messe a caso. A mio avviso scelte che rendono poco fruibili le composizioni per coloro che ascoltano, in quanto frutto di quella estrema e talvolta esasperata introspezione che la ricerca impone e si ritrovano disarmati e disorientati dall’assenza di strumenti per formulare un qualsiasi giudizio filtrato dalle emozioni che la poesia stessa suscita. Anche Marica ha messo in luce la difficoltà di comprendere poesie volutamente ermetiche. Premesso che non si dovrebbe mai chiedere a un poeta di spiegare le proprie poesie, ha chiesto qualche consiglio per avvicinarsi alla poesia, un suggerimento per calarsi nelle parole dello scrittore.
“LA POESIA NON DEVE SIGNIFICARE, MA ESSERE” [Achibald McLeish]
L’autore ha suggerito di leggere tanti poeti differenti, avvicinandosi a tanti stili diversi, di leggere per trovare in ogni poesia un proprio significato. La poesia dona al lettore più interpretazioni possibili. Non esiste un’unica chiave di lettura. Non c’è il rischio di essere travisati. Solo il poeta, forse, sa davvero quello che ha scritto. A suo parere non c’è un significato, la poesia – come affermato da Achibald McLeish – deve essere, non significare. Aggiungerei che quando un poeta ci appare ostico, difficile da comprendere, bisogna provare a rileggere, senza fretta. Se le sue poesie continuano a non attraversarci, forse semplicemente non siamo in sintonia con la sua scrittura o non riusciamo a cogliere in quelle parole, apparentemente inanellate a caso, un significato che dia senso all’eventuale sperimentazione linguistica adottata. Castronuovo nel suo intervento si è lamentato del calo della poesia rispetto al passato, considerando un problema oggi farla riesplodere. Non ho ben capito se si riferisse a un calo qualitativo o quantitativo. Come quantità credo che sia ancora ingente il numero di poeti o aspiranti tali, da sempre snobbati dalle case editrici perché ritenuti poco remunerativi. Come qualità, non sta a me giudicare; ho notato però che a volte le voci più genuine, quelle che riescono a comunicare ancora qualcosa al lettore, si trovano spesso al di fuori della cerchia dei nomi più blasonati. Nelle sue poesie Paolo Castronuovo parla anche di argomenti di attualità (il caporalato, l’inquinamento all’ex ILVA di Taranto, l’arrivo dei barconi con i migranti, la politica, etc.) che in apparenza non sono in sintonia con quelle più personali intessute di esperienze vissute. L’autore ha spiegato che questo libro raccoglie poesie appartenenti a varie sillogi scritte nell’arco di circa dieci anni e ogni sezione contiene solo una scelta di liriche provenienti da ciascuna di esse. Per questo si trovano insieme poesie con argomenti e stili differenti. Nel 2015 scrisse una raccolta chiamata «E vai d’asfalto», dedicata a vari temi di impegno sociale, tra cui il caporalato. Poco tempo dopo aver scritto una poesia sul caporalato, sua cugina Paola Clemente, bracciante agricola, è morta mentre lavorava nei campi, e quelle parole hanno assunto per lui un diverso significato. Sono poesie molto forti, che toccano argomenti che tutti conoscono, ma di cui pochi parlano oppure che la poesia carica di significati. La poesia è spesso la sregolatezza di una visione. Valentina ha quindi letto «Non mi importa», lirica che parla di una giornata disastrosa.
ATEISMO E LIBERTÀ
Paolo Castronuovo si professa ateo, non interessato a qualunque religione. Ha spiegato che il titolo del libro non ha niente a che fare con riti satanici o altri culti pagani, come forse qualcuno potrebbe ipotizzare. Racconta semplicemente la sua vita, anche con dolore e fa riferimento alla croce del poeta; versa, perché oscura e perché le liriche compaiono in ordine inverso.
Marica in riferimento al pensiero ateo di chi si sente libero di non dover condividere un pensiero, una fede che gli è stata imposta alla nascita, ha ricordato il poeta James Joyce che rifiutò di inginocchiarsi e pregare con sua madre in punto di morte. Molti scrittori e poeti professano come lui l’ateismo o hanno difficoltà con la religione cattolica eppure spesso, come ne «La croce versa», inseriscono nei loro componimenti simboli o riferimenti religiosi, quasi a voler mettere in evidenza il loro rapporto travagliato con la religione, facendo intuire comunque un cammino di ricerca che li porta ad accostarsi al sacro, per poi magari allontanarsene in maniera cosciente. Paolo Castronuovo non crede in nessuna religione, ma rispetta chi ha una fede religiosa e forse oggi riesce a dialogare meglio anche con chi crede. L’autore ha raccontato che la poesia letta da Valentina prende spunto da una giornata disastrosa, nata dopo aver seguito la noiosa presentazione di un libro che più che di poesia parlava di religione. Un discorso di più di quattro ore, interminabile e per lui privo di senso. A suo parere le presentazioni dei libri dovrebbero durare al massimo tre quarti d’ora, dopo rischiano di diventare troppo pesanti e il pubblico tende a distrarsi. La poesia è piacevole da ascoltare, ma nella giusta misura. Nella sua ricerca poetica comunque non esclude anche testi che parlano di religione; ha confidato che ci sono anche tanti poeti molto religiosi che gli piacciono, come Mario Luzi o David Maria Turoldo. Vito Laudadio e gli altri chitarristi che lo accompagnavano hanno intonato il ritmo scanzonato di «Garibaldi innamorato», brano di Sergio Caputo presentato a Sanremo nel 1987. Poi Giovanni ha letto «Ti ho guardata per tanto tempo».
IL LATO OSCURO DELLA POESIA… CURA E MALATTIA
Nelle poesie di Paolo Castronuovo emerge secondo Marica una certa rassegnazione, uno sguardo negativo sulle cose che nasce forse da esperienze personali negative. Paolo considera la sua visione realistica, ammettendo che c’è dell’oscuro in tutto quello che scrive, un guscio oscuro, dovuto forse alla vita complicata che ha avuto. Nel prossimo libro ci saranno anche poesie più leggere, ma resta un fondo oscuro. In alcuni suoi testi fa riferimento agli attacchi di panico che molti hanno vissuto. Nello scrivere riesce a lenire, soffocare la sua parte più fragile, quella che di solito riesce a nascondere. A suo parere la poesia spesso aiuta a venirne fuori, ma è anche una «gran bastarda», che è insieme cura e malattia; a volte ti cura, a volte ti butta ancora più giù. Ogni persona ha anche il suo lato doloroso, ferite che a volte riemergono. Quello che pensa viene fuori più con la scrittura che con le parole. Marica Laudadio ha quindi indagato sui momenti in cui scrive, chiedendo se ha dei momenti, dei luoghi particolari in cui appartarsi per elaborare le sue composizioni. Paolo Castronuovo ha spiegato di non avere luoghi o momenti precisi, una disciplina della scrittura, come molti autori suggeriscono. Ha sempre scritto mentre pensava, a volte forzandosi per completare alcuni lavori. Scrive di più nei periodi in cui ha più vita sociale, forse ispirato dal contatto con gli altri, e in genere predilige gli spazi aperti. In genere non gli piace viaggiare, se non per seguire qualche concerto. L’ultimo è stato qualche settimana fa proprio a Gioia; si è spostato dalla sua Crispiano per venire a sentire gli «Osanna». Ama la musica e qualche volta suona anche il basso, ma non si considera un musicista. In tema musicale il prof. Vito Laudadio ha colto l’occasione per presentare il brano «Besame mucho» insieme a Domenico Caricato alla chitarra e Leonardo Capurso alla chitarra hawaiana. Poi Andrea e Valentina hanno letto «Amica mia, facciamo pace» e «Ho voglia di scriverti su un foglio». L’autore ha continuato con la lettura di «Il flusso nel volo», alternata all’ascolto de «La canzone del sole» di Lucio Battisti. Paolo Castronuovo ha quindi letto «Fammi luce col tuo buio» e poi la brevissima «La poesia muore/in ogni verso te».
SCRITTORE DI PROSA, POETA E EDITOR…
Come ultima domanda Marica ha fatto cenno ai vari ruoli dell’autore, che è scrittore di prosa, poeta e editor, chiedendogli in quale si ritrova di più. Paolo ha risposto che preferisce scrivere poesie e fare editing piuttosto che scrivere romanzi. Peccato che non ci sia stato modo di approfondire questo argomento, per capire con quale spirito e con quale metodo si approccia ai testi altrui.
In merito mi sia concessa una digressione all’interno di questo contesto: gli editor in genere si dividono in due categorie: quelli che rispettano l’autore, fornendogli solo consigli per migliorare il testo, senza intervenire se non per individuare qualche refuso; quelli che stravolgono il testo, trasformandolo a loro immagine e somiglianza, facendolo diventare come loro lo avrebbero scritto. A volte con un maggiore successo commerciale, ma con testi piatti, tutti uguali e che non rispecchiano minimamente l’idea di partenza dell’autore, il suo stile. L’autore dovrebbe sempre essere l’unico legittimamente autorizzato a intervenire sul testo, a dire l’ultima parola su ogni frase, visto che il libro riporta il suo nome. A mio parere se l’editor interviene in maniera pesante dovrebbe essere indicato nel libro anche il suo nome, come si fa con i traduttori, sia per rispetto per il lavoro che ha fatto, sia per assumersi in parte la responsabilità delle scelte lessicali e stilistiche adottate.
Paolo nella sua biografia scrive di aver rinnegato e tolto dal commercio i suoi primi due libri, che oggi ritiene troppo acerbi e sgrammaticati, forse non meritevoli di essere pubblicati. Ritiene che la maturità non si raggiunge mai, ma si fanno sempre cose diverse. È normale che col passare del tempo alcuni testi ci appaiano in maniera diversa: alcuni non li sentiamo più nostri, non ci rappresentano più; altri ci sorprendono perché nel tempo mantengono la loro carica emotiva, la freschezza iniziale. In conclusione Raffaella Rizzi ha ringraziato Marica per il suo lavoro, invitando i presenti al successivo incontro del due agosto con il libro di Chimena Palmieri sulla strage di Bologna; un testo dedicato a sei delle 85 vittime, quelle di cui non si sa perché fossero in stazione in quel momento, a cui l’autrice ha voluto offrire una «seconda possibilità», inventando delle possibili storie alternative per spiegare la loro presenza in quel tragico istante. Il poeta Paolo Castronuovo ha ringraziato tutti i presenti, i musicisti per l’accompagnamento musicale, i lettori e tutto il pubblico presente, promettendo che nella prossima occasione manderà una sua foto a colori sorridente per la locandina, invece dell’espressione corrucciata di molte sue fotografie. Il prof. Laudadio e i due chitarristi Leonardo Capurso e Domenico Caricato hanno concluso con il brano «Sabato italiano» di Sergio Caputo. [Foto Mario Di Giuseppe]
Giovanni Capotorto