Se vogliamo proteggere la pace dobbiamo smascherare la cultura della guerra
Mercoledì 24 gennaio si è tenuta, a Gioia del Colle, una cerimonia volta a commemorare il 227º anniversario dell’adozione del Tricolore.
La Giornata nazionale della bandiera (o del tricolore) ha la finalità di ricordare la nascita della bandiera italiana avvenuta a Reggio Emilia nel 1797 e ricorre, in realtà, il 7 gennaio di ogni anno.
A livello locale l’evento celebrativo è stato organizzato, post datato, dall’Esercito Italiano (in particolare dal Reggimento Logistico Pinerolo di stanza a Bari) in collaborazione con l’Amministrazione Comunale.
La cerimonia ha preso il via alle ore 10.30 presso il Monumento dei Caduti di Piazza Battisti, con il rito dell’alzabandiera, cui hanno fatto seguito i discorsi delle autorità militari e dei rappresentanti dell’amministrazione locale.
Il pubblico convenuto era costituito prevalentemente dagli alunni delle scuole medie ed elementari del paese, invitati a partecipare dall’assessore alla cultura con una lettera inviata alle scuole in data 22 gennaio.
Esigua invece la presenza della cittadinanza, informata della cerimonia solo 24 ore prima, esclusivamente attraverso la pubblicazione dell’evento sul profilo social e sul sito internet del Comune.
La modalità con cui è proseguita la giornata di commemorazione della bandiera merita un approfondimento e soprattutto qualche riflessione.
Al termine dei discorsi ufficiali di rito, infatti, i presenti sono stati invitati a spostarsi in Piazza Plebiscito, appositamente chiusa al traffico e trasformata, per l’occasione, in una sorta di accampamento militare.
Qui, bambini e cittadini potevano aggirarsi tra tende, gazebo ed un numero cospicuo di mezzi pesanti dell’esercito, alcuni dei quali schierati in esposizione lungo un lato della piazza. Corredati di cartelli didascalici e piantonati da personale in divisa, i veicoli potevano essere visitati anche dall’interno con l’ausilio dei militari. Gli scolari erano invitati a salire a bordo ed era concesso loro di pigiare bottoni e di suonare il clacson.
Notevole il numero dei militari mobilitati complessivamente per l’iniziativa.
Al centro della piazza campeggiava, invece, delimitato da transenne, un percorso di Military Fitness, ossia una riproduzione, più o meno realistica, dei circuiti e delle modalità di addestramento fisico del personale militare.
Il Percorso prevedeva prove di forza e il superamento di ostacoli costituiti da materiale vario.
Una persona in divisa all’interno dell’area attrezzata illustrava gli esercizi e spiegava che la modalità addestrativa riproduceva volutamente difficoltà, ostacoli e prove fisiche che un militare potrebbe ritrovarsi ad affrontare realmente in un “teatro operativo” (leggi anche “contesto di guerra”).
Al termine del percorso, ai partecipanti, costituiti per il 99,9% dai bambini della scuola primaria e secondaria di primo grado, veniva fatto indossare un vero giubbotto antiproiettile e veniva consegnato un attestato di partecipazione nominativo, firmato Esercito Italiano.
Vale la pena sottolineare che la possibilità di prendere parte al circuito simulante l’addestramento militare era vincolata ad un’autorizzazione scritta concessa individualmente agli scolari dai propri insegnanti, che ne decretava, presumibilmente, anche l’idoneità fisica.
Festa della bandiera, commemorazione degli internati militari, campagna di arruolamento…
L’imponente dispiegamento di personale e mezzi della forza armata protagonista, le attività previste (quali il military fitness e la visita ai veicoli) e la distribuzione di materiale informativo dell’Esercito, che nulla aveva che fare con la Festa della Bandiera ma che era volto esclusivamente a promuovere l’arruolamento di nuove reclute, lascia sorgere il dubbio che la celebrazione della Festa del Tricolore fosse solo “un’occasione” per una manifestazione più squisitamente militare.
A rafforzare tale convinzione concorre la notizia che rende noto che la stessa manifestazione (svoltasi esattamente con le medesime modalità) sia stata organizzata dall’Esercito nella vicina città di Monopoli in data 10 gennaio 2024 e che in quel contesto verteva a onorare, non la Bandiera, ma la memoria degli Internati Militari Italiani. (https://www.monopolitrerose.it/attualita/esercito-della-pinerolo-a-monopoli)
Un comunicato (https://www.monopolitimes.com/2024/01/10/cerimonia-deposizione-corona-monumento-caduti-monopoli-esercito-banda-brigata-meccanizzata-pinerolo-assetto-military-fitness/) diramato relativamente all’iniziativa monopolitana afferma esplicitamente l’esistenza di una serie di “iniziative volte a rinsaldare i legami con le autorità locali e la cittadinanza”.
L’occupazione militare delle piazze dei paesi, luoghi della democrazia per antonomasia, sembra coincidere, in sostanza, con una più vasta e preoccupante operazione di militarizzazione delle menti e delle coscienze. Tale operazione prende le mosse da commemorazioni pubbliche nazionali, ma va ben al di là delle stesse e ha più propriamente l’obiettivo di rinsaldare il ruolo e l’immagine delle forze armate nell’immaginario collettivo, di rafforzarne la presenza all’interno della società e di preparare l’opinione pubblica ad accettare l’inevitabilità di un conflitto totale che sembra essere oramai già deciso e sempre più vicino.
“La categoria bellica” esce dalle caserme e dalle basi militari
Da qualche anno assistiamo ad un inconfutabile e progressiva avanzata della cultura militare, che diventa sempre più presente e pervasiva e si declina in modalità e contesti diversi.
La “categoria bellica” (come la definì Michela Murgia) e la cultura ad essa connessa, hanno preso il largo rispetto alle caserme in cui erano rimaste grosso modo confinate negli ultimi anni, e si fanno sempre più strada nei luoghi della società civile e in contesti da cui erano tradizionalmente distanti, per lo meno nei Paesi democratici.
Basti pensare, ad esempio, alla nomina del Generale di Corpo d’armata Francesco Figliuolo a “Commissario per l’emergenza Covid 19”. Figliuolo, nominato dall’ex Premier Mario Draghi, se ne andava in giro per l’Italia a cercare di “arrestare” il virus inspiegabilmente in uniforme militare.
Innegabile appare, inoltre, il moltiplicarsi di iniziative di carattere sociale e benefico portate avanti dalle forze armate. A titolo di esempio si potrebbe citare la “Corsa del Centenario”: evento sportivo non agonistico aperto alla cittadinanza e organizzato, lo scorso settembre, dal 36º Stormo dell’Aeronautica militare, patrocinato dal Comune di Gioia del Colle. Una parte del ricavato della somma versata per l’iscrizione all’evento è stata donata dalle istituzioni militari all’AIRC (Associazione per la ricerca sul cancro), dimostrando, così, che l’aeroporto non si sottrae completamente alla responsabilità di inquinare l’aria e i terreni locali con le sue continue e costanti esercitazioni di aerei militari sui cieli cittadini.
La deriva militarista della società passa anche attraverso l’esaltazione della forza, la celebrazione della tecnologia applicata all’apparecchiatura bellica e la spettacolarizzazione di esercitazioni militari che altro non fanno che trasformare la guerra in uno show. Si pensi, per esempio alla manifestazione NATO “Tiger Meet”, svoltasi ad ottobre nella nostra città e il cui motto, vale la pena ricordarlo, era “Hard to be humble”: “Difficile restare umili.”
“Le scuole come terreno di conquista”
La militarizzazione delle scuole e dei luoghi deputati all’educazione e alla formazione di bambine/i e giovani resta forse l’aspetto più allarmante e inquietante di questa tendenza.
La commercializzazione di zainetti e di prodotti per la scuola con il logo dell’Esercito (poi ritirati dal mercato a seguito di proteste) costituisce un episodio emblematico di un evidente tentativo in corso di trasformare gli apparati militari (e la cultura ad essi sottesa) in una sorta di marchio trendy. Eppure, paradossalmente, la brandizzazione delle forze armate resta forse l’aspetto meno grave.
Infatti, l’Osservatorio Contro la Militarizzazione delle Scuole, nato nel 2023 e costituito da una moltitudine di sigle e associazioni legate al mondo della scuola pubblica e/o dedite alla promozione della cultura della Pace denuncia il fatto che: “Le scuole e le università stanno sempre più diventando terreno di conquista di una ideologia bellicista e di controllo securitario che si fa spazio attraverso l’intervento diretto delle forze armate (..) declinato in una miriade di iniziative tese a promuovere la carriera militare in Italia e all’estero, e a presentare le forze armate e le forze di sicurezza come risolutive di problematiche che sono invece pertinenti alla società civile.
Questa invasione di campo vede come protagonisti rappresentanti delle forze militari addirittura in qualità di “docenti”, che tengono lezioni su vari argomenti…(legalità, bullismo, droga e Costituzione) e arriva a coinvolgere persino i percorsi di alternanza scuola-lavoro (PCTO) attraverso l’organizzazione di visite a basi militari o caserme. Il tutto suffragato da protocolli di intesa firmati da rappresentanti dell’Esercito con il Ministero dell’Istruzione, gli Uffici Scolastici Regionali e Provinciali e le singole scuole.”
La pace è fragile
Le forze armate svolgono indubbiamente un ruolo prezioso nell’ambito della gestione di situazioni emergenziali e il loro supporto alle popolazioni civili in casi di catastrofi o calamità resta di fondamentale importanza. Non si intende dunque demonizzarne a prescindere l’operato o metterne in discussione l’esistenza stessa. Tuttavia, in un momento storico qual è quello attuale, estremamente delicato per la tenuta della pace a livello globale, occorre prestare estrema attenzione ai messaggi che si intende divulgare e alle modalità comunicative adottate.
Il riacutizzarsi del conflitto Israelo – Palestinese ha riacceso scontri e tensioni in tutto il Medio Oriente.
Il prossimo 24 febbraio ricorre il secondo anniversario della data di inizio della guerra in Europa, nella non lontana Ucraina, conflitto al centro di fortissime tensioni internazionali.
Il 22 gennaio la Nato ha dato il via alla più grande esercitazione militare dai tempi della Guerra fredda, che si protrarrà fino a maggio. Nell’annunciarla, i vertici della Nato hanno dichiarato che è bene che le popolazioni familiarizzino col fatto che “la pace non può più essere data per scontata”.
Nei giorni scorsi, Patrick Sanders, capo dell’esercito britannico, ha dichiarato che “il Regno Unito deve reclutare e addestrare un esercito di cittadini pronti alla battaglia”.
Dello stesso orientamento i Governi di Polonia e Svezia; mentre la Germania si spinge oltre, non escludendo la possibilità di ricorrere ad un esercito di mercenari.
Anche il Ministro Italiano della Difesa, Crosetto, nelle scorse ore ha avanzato l’ipotesi di “predisporre un esercito di riservisti” pronti ad affiancare le forze armate in caso di necessità.
Divulgare la cultura della pace non basta più: occorre smascherare la cultura della guerra
A fronte di quanto appena descritto appare evidente, dunque, che la Pace non è mai stata tanto fragile come in questo momento. Proteggerla, oggi, richiede uno sforzo ben maggiore della semplice divulgazione di una cultura pacifista.
Occorre anche e soprattutto essere capaci di riconoscere la cultura della guerra e insegnare ai giovani a smascherala, per poterla rigettare in maniera decisa e inequivocabile e rispedire al mittente il messaggio, falso e pretestuoso, che la Pace si difende e si ottiene, ancora oggi, con il ricorso all’uso delle armi.
La Pace si protegge promuovendo il dialogo, la diplomazia e soprattutto la conoscenza.
La conoscenza della storia prima di tutto. La nostra e quella altrui, prestando estrema attenzione al modo in cui si sostengono e si divulgano ideologie nazionaliste e dottrine patriottiche che nell’esaltazione spesso acritica delle identità proprie di una nazione, rischiano di sfociare nella convinzione di una presunta superiorità di alcune culture su altre (di cui si conosce poco o nulla) aprendo la strada a discriminazioni, razzismo, diffidenze e divisioni.
Cittadini del mondo e membri della Famiglia Umana
È necessario, piuttosto, divulgare la conoscenza dei diritti umani. Spronare a ricercare l’incontro con culture altre, da approcciare con curiosità, senza paure o pregiudizi, come occasione di arricchimento culturale e personale. Attività come queste ci ricordano che siamo prima di tutto cittadini del mondo e parte di un’unica grande famiglia, quella Umana, che è la stessa al di là delle nazioni in cui ci è capitato fortuitamente di nascere e dei confini geografici in cui abitiamo.
Rivendicare il diritto alla fragilità ed educare al coraggio di essere deboli
Rifiutare di lasciarci ammaliare dal mito della forza, fisica e/o economica, per sua natura escludente (come l’idoneità fisica richiesta per il military fitness) e incline a far propendere i rapporti a favore di chi è più dotato (a volte senza meriti) di mezzi e muscoli ma non necessariamente anche di ragioni e argomentazioni valide.
Educare, piuttosto, al coraggio di abbracciare le proprie debolezze senza doverle nascondere, senza vergognarsene. Rivendicare il diritto alla fragilità e alla vulnerabilità, che è condizione propria della vita e dell’essere umano, eradicando alla base la cultura del bullismo, fisico, economico ed intellettuale.
La responsabilità di chi educa
Gli istituti scolastici e il personale docente hanno una responsabilità enorme nel veicolare determinati valori e nel farli attecchire. Le scuole sono i luoghi deputati alla formazione di donne e uomini, prima ancora che di futuri lavoratori; di cittadine e cittadini consapevoli dei loro diritti e doveri, e non di cadetti. Coloro i quali vorranno intraprendere la carriera militare saranno liberi di farlo a tempo debito, quando avranno sviluppato senso critico e capacità di discernimento tali da consentire loro di scegliere il proprio orientamento professionale in autonomia e con consapevolezza. Doti, queste, di cui non si dispone di certo dai sei ai tredici anni.
Gli insegnanti educhino al pensiero complesso. Quello stesso pensiero che impone di interrogarsi e di riflettere sul messaggio confuso che si trasmette agli alunni quando si propone loro di mettere momentaneamente da parte le bandiere arcobaleno usate per partecipare alle marce per la pace, per indossare i giubbotti antiproiettile, outfit per manifestazioni di stampo militarista. L’educazione civica è una cosa seria! Per le sfilate in costume ci sono le parate del carnevale di Putignano.
Agli educatori e agli adulti in generale spetta il compito di tenere sempre a mente il fatto che le più grandi atrocità della storia passata e recente, come quelle da poco commemorate in occasione della Giornata della Memoria, sono state il frutto di masse di individui che si sono limitati a eseguire ordini e istruzioni, incapaci di cogliere la gravità del loro presente e la mostruosità delle loro azioni.
Per questo è doveroso formare individui in grado di pensare e agire con la propria testa e capaci di decifrare la realtà al di là degli slogan e di coreografie ad effetto.
Si insegni, con l’esempio, ad avere il coraggio delle proprie idee e a dissentire, nei modi e nelle forme opportune, dal pensiero dominante quando non lo si ritiene giusto.
Piuttosto che suggerire prematuri percorsi professionali post scolastici, si potenzi la naturale propensione dei piccoli alla fantasia e all’immaginazione, coltivando generazioni di futuri visionari in grado di cambiare le sorti di un modo sull’orlo dell’abisso.
Si trasmetta il valore della responsabilità di ognuno nelle società di cui siamo parte e si comunichi l’importanza della partecipazione consapevole, a discapito dell’indifferenza e della noncuranza.
Quanto all’importanza dello sport a scuola, ci faremo bastare la cara, vecchia educazione fisica, da svolgere rigorosamente in tuta e scarpette da ginnastica.
La speranza è quella di non dover vedere mai più nessun bambino, in nessuna parte del mondo, indossare dei giubbotti antiproiettile. Tanto per gioco!
IVANA GUAGNANO
L’Italia resta sempre e comunque il Paese dell’ipocrisia. Esaltare le FF.AA. quando ci sono calamità naturali mi è sempre apparso riduttivo e irrispettoso, conferire medaglie poi sa di ridicolo. Come ex appartenente all’Arma dei Carabinieri comprendo il disappunto e concordo su alcune note espresse dall’amica Ivana.
L’iniziativa a mio modesto avviso andava gestita in modo molto sobrio. Nessuno meglio di me conosce l’avversità che serpeggia in vari tessuti sociali nei riguardi delle FF.AA. al punto da aver abolito il servizio di leva. Il problema è che in questo Paese non si ha il coraggio di prendere di petto certe questioni. Faccio un esempio banale, in Europa non tutti sono dotati di FF.AA. e quando ci si sente minacciati ci si rivolge ad altri per chiedere aiuto e proprio lo Stormo di Gioia partecipa alla sorveglianza degli spazi aerei di chi ne fa richiesta. Allora, mi chiedo, perché non eliminare la presenza delle FF.AA. ? Atteso i costi non solo di gestione ma anche delle infinite missioni estere a cui l’Italia invia propri contingenti. L’occasione per prendere tale decisone non è mancata. Dopo tutto dal 2012 al 2022 a Palazzo Chigi si sono seduti un po’ tutti i rappresentanti politici presenti nell’arco Costituzionale. E’ mancato il coraggio? Ma come, per polemizzare ne abbiamo da vendere e per le cose importanti come la smilitarizzazione di un Paese ci si ferma? Ha ragione Ivana, la Scuola ha anche le sue responsabilità. Ai bambini non va insegnato come arruolarsi nell’esercito. E neanche va evidenziato a cosa serve. Gli appartenenti all’esercito o alle FF.PP. in generale (ai miei tempi se intraprendevi tale carriera venivi bollato come fallito) devono restare reclusi nelle rispettive caserme non devono assolutamente avere contatti con l’esterno. La loro uscita è autorizzata solo in presenza di terremoti, alluvioni o catastrofi. Io sono del tutto favorevole a eliminare tutto. Diffondiamo la cultura della Pace a cominciare dalla Scuola. Ma prima di fare questo ricordiamoci di uscire dalla Nato, dall’Onu, dall’UE e da ogni organizzazione che ha come obiettivo la difesa della Pace appunto!